Volterra è un comune della provincia di Pisa con 9.980 abitanti al 1° gennaio 2020 e si estende su di una superficie di 25.284,50 ettari equivalenti a 252,85 Km2. La densità media della popolazione è di 39,47 abitanti per Km2 (la densità media della Toscana è di 161,95 ab/km2, mentre la densità media dell’Italia è di 199,44 ab/km2 – fonte: ISTAT).
Il capoluogo si trova a circa 530 metri sul livello del mare e dista circa 65 km da Pisa (circa un’ora e dieci minuti di auto) e circa 76 Km da Firenze (circa 1 ora e 20 minuti di auto) e a circa 55 km da Siena (circa un’ora di auto).
Il territorio comunale confina a Nord con i comuni di Peccioli (PI), Montaione e Gambassi Terme (FI), a Est con i comuni di San Gimignano e Colle Val d’Elsa (SI) Cascina (PI), a Sud con i comuni di Casole d’Elsa (SI), Castelnuovo Val di Cecina e Pomarance (PI), a Ovest con i comuni di Montecatini Val di Cecina e Pomarance (PI)
I patroni del comune sono San Giusto e San Clemente e vengono festeggiati il 5 giugno.
VOLTERRA E’ LA PRIMA CAPITALE TOSCANA DELLA CULTURA PER IL 2022
Un pò di storia
Volterra sorge elevata e solitaria sulla sommità delle alture che dividono la valle dell’Era a Nord dalla valle del Cecina a Sud-Ovest al centro di un singolare paesaggio caratterizzato dalle argille plioceniche (biancane) erose dal tempo a formare calanchi che donano al paesaggio un fascino unico.
Città antichissima, di aspetto medievale, vanta monumenti e collezioni archeologiche e artistiche che documentano il suo passato di ricca lucumonia etrusca, municipio romano e libero Comune.
Centro della cultura villanoviana (IX-VII sec a.C.), Volterra fu una delle più potenti città etrusche (Velathri), nel II secolo entrò a far parte della Confederazione Italica fra le città etrusche, continuando però a mantenere i propri ordinamenti con la libertà di commercio.
Dopo la Guerra Sociale divenne municipio romano della tribù Sabatina. È di questa epoca (IV-I sec. A.C.) il suo maggior splendore, attestato dalla diffusa monetazione.
Volterra ha dato i natali a Lino I, secondo papa della storia, successore di San Pietro (poi santificato come San Lino), eletto nel 67 d.C. e martirizzato nel 76 d.C.
Nel V secolo d.C. la città divenne sede vescovile e centro di una Contea. Fra i primi vescovi volterrani vi fu Giusto, morto il 5 giugno 556, poi divenuto il patrono della città, a cui la tradizione attribuisce il miracolo di aver salvato la città dall’assedio di Totila (o Baduila, re degli Ostrogoti dal 541 al 552, durante la guerra greco-gotica. Riuscì a contendere per dieci anni il controllo della penisola italiana all’Impero bizantino).
Nei secoli seguenti la città venne governata dai Longobardi e dai Franchi fino a dopo l’anno mille, quando si affermò il potere dei vescovi, divenuto poi ereditario, nella famiglia Pannocchieschi (1150-1239).
Questo potere vescovile fu favorito dagli Imperatori che concessero a loro il governo della città che estesero alle città vicine di San Gimignano e Colle Val d’Elsa.
Il potere vescovile toccò il suo culmine all’epoca di Galgano Pannocchieschi, vescovo e governatore di Volterra per conto di Federico Barbarossa. Il suo governo dispotico fu anche la causa dell’inizio della rivolta contro quel potere. Lo stesso Galgano venne massacrato dal popolo inferocito sulla soglia del Duomo nel 1170. I capi della rivolta anti-vescovile furono i locali signori feudali e gli esponenti della nascente borghesia comunale.
Nel 1208 venne iniziata la costruzione del Palazzo dei Priori, il simbolo e la sede del potere comunale. La costruzione fu veloce e di pari passo calava l’influenza dei vescovi sulla città che praticamente persero il loro potere alla morte del vescovo Pagano Pannocchieschi nel 1239.
Coinvolta nelle lotte con le città vicine di San Gimignano, Firenze, Pisa e Siena, Volterra fu ghibellina (famiglia Allegretti) e poi guelfa, quando passò sotto la Signoria dei Belforti (1340).
Il primo vero signore fu Ottaviano Belforti che politicamente fu molto vicino a Firenze e in particolare a Gualtieri di Brienne[1]. Nonostante la rapida parentesi rappresentata dal Duca d’Atene, Ottaviano rimase signore fino alla morte giunta nel 1348; i suoi anni di governo videro la costruzione della parte meridionale della Fortezza, soprattutto la torre del Duca d’Atene, localmente nota come “Femmina“, da cui è possibile dominare la città.
Il successore di Ottaviano fu il figlio Bocchino, che governò come un tiranno e si alienò la fiducia dei volterrani e soprattutto di Firenze. Perso l’appoggio di Firenze, Bocchino cercò di vendere la città ai pisani ma il popolo insorse e tentò di linciarlo; Bocchino riuscì a scampare al linciaggio ma dopo un processo sommario venne decapitato sulle scale del palazzo dei Priori il 10 ottobre 1361.
Dopo la sua morte i Belforti vennero cacciati dalla città e Volterra passò sotto il controllo di Firenze. I fiorentini riconobbero l’indipendenza della città ma fu solo un atto formale. Nella realtà Firenze sceglieva il Capitano del popolo e i Gonfalonieri solo tra persone di sua fiducia e nel 1427 anche qui fu imposta la legge del Catasto fiorentino.
Per Firenze la città di Volterra era ormai un suo suddito. Ma i volterrani non si sentivano sudditi e contestarono il provvedimento. Inviarono a Firenze una delegazione che per tutta risposta fu arrestata e tenuta rinchiusa per diversi mesi. I volterrani insorsero in armi e il capo della rivolta fu Giusto Landini: venne cacciato il capitano fiorentino e venne conquistata la fortezza.
La nuova indipendenza durò poco, infatti i volterrani si rivolsero a Lucca e Siena per avere aiuti ma le due città risposero picche. Lo stesso Giusto Landini fu vittima di una congiura ordita contro di lui da alcuni nobili volterrani atterriti dalle conseguenze economiche di uno scontro con Firenze: il 7 novembre 1429 Landini venne invitato dagli altri priori a un incontro nel palazzo comunale ma una volta giunto lì venne gettato da una finestra e Firenze riprese il controllo della città.
La definitiva sottomissione di Volterra avvenne nel 1472. Due anni prima erano state scoperte delle miniere di allume il cui sfruttamento aveva riacceso le faide familiari tra i nobili volterrani. Lorenzo il Magnifico ne approfittò e si schierò dalla parte della famiglia Inghirami anche se in realtà era Firenze e lui stesso a volere il controllo delle miniere.
Per riportare ordine in città venne inviato un esercito composto da 7000 uomini con a capo Federico da Montefeltro; i soldati misero a ferro e fuoco Volterra, la saccheggiarono orrendamente e inoltre buttarono giù quasi tutte le case-torri. Questo episodio è noto come “Sacco di Volterra”.
Per controllare definitivamente la città venne ampliata la fortezza dove venne edificata anche la torre detta il Mastio (“Maschio”), simbolo della potenza fiorentina.
Volterra fu trascinata anche nelle vicende della repubblica di Firenze (1527-1530). La città si schierò dalla parte dei Medici, sostenuti dall’imperatore Carlo V e papa Clemente VII. Francesco Ferrucci, commissario della Repubblica, la occupò e vi si asserragliò con i suoi uomini nell’estate del 1530. La città venne assediata dalle milizie di Fabrizio Maramaldo e dalle truppe spagnole ma i volterrani dettero aiuto al Ferrucci. L’assedio fu lungo e più volte vennero tentati degli assalti poi gli imperiali tolsero l’assedio e il saccheggio sembrava scampato. Ma Francesco Ferrucci e i suoi uomini depredarono le case e le chiese di tutto l’oro e l’argento disponibile per farne moneta.
Da allora Volterra seguì le vicende del Ducato di Firenze prima e del Granducato di Toscana, poi.
EDIFICI STORICI
Il Palazzo dei Priori
La sede della Signoria, dei podestà e poi del Comune è il Palazzo dei Priori che campeggia sulla piazza centrale di Volterra.
Nel 1208, gli anziani e il popolo di Volterra decisero la costruzione di un nuovo palazzo che si affacciasse su questa piazza e che fosse sede degna e imponente del Comune.
L’edificio, la cui mole domina l’intera piazza, divenne abitabile già pochi anni dopo, ma fu completato solamente nel 1257, con la costruzione di un secondo corpo di fabbrica lungo la via Turazza, la cosiddetta casa posteriore.
Al di sopra del corpo principale, costituito da un tozzo parallelepipedo, svetta un’alta torre che rende il palazzo più simile a una fortificazione che a un edificio pubblico.
La facciata è caratterizzata oggi per le numerose finestre a bifora e la presenza degli stemmi dei magistrati fiorentini che governarono la città dopo la conquista avvenuta nel 1472. Molti di essi sono in terracotta policroma di produzione della bottega dei Della Robbia.
Nello spazio fra due delle aperture del piano terreno fu ricavata un’incisione che rappresenta l’unità di misura usata nel Medioevo dal Comune di Volterra. Veniva chiamata “canna volterrana” e differiva da quelle usate nelle città vicine; a Volterra misurava 2,52 m ed era suddivisa in 4 braccia di 63 cm, a loro volta divisi in 12 once corrispondenti a circa 5,25 cm ciascuna.
Salendo troviamo al primo piano la Sala del Consiglio, usata ancora oggi per le adunanze pubbliche, un’altra più piccola e alcuni piccoli ambienti non aperti al pubblico. Invece è possibile visitare l’ultimo piano del palazzo che consente anche l’accesso alla Torre Campanaria, da cui si può ammirare un panorama eccezionale.
Nell’atrio delle scale del primo piano, è visibile un affresco di Pier Francesco Fiorentino (XV secolo) raffigurante la Crocifissione.
Sala del Consiglio
La Sala del Consiglio è riccamente decorata con un affresco dipinto alla fine dell’Ottocento: un’elaborata decorazione architettonica dipinta inquadra quelli che erano ritenuti essere gli stemmi delle famiglie nobili volterrani alternati allo stemma della città, la croce rossa in campo bianco.
Lo stesso stemma della città, insieme a quelli del Comune e del Popolo, è raffigurato sulla parete di fondo, al di sopra della porta che conduce nella saletta attigua; ai lati di questa porta sono pure rappresentati lo stemma della famiglia Medici (lo scudo con sei palle) e il Marzocco della signoria fiorentina, accanto a motti tratti dagli statuti comunali.
Un’intera parete della sala è occupata da un affresco più antico raffigurante l’Annunciazione dei santi Giusto, Ottaviano, Cosma e Damiano, dipinto nel 1383 per mano di Iacopo di Cione (fratello di Andrea Orcagna). Quest’opera segna un momento importante nella storia dell’arte volterrana, perché probabilmente è il primo dipinto di scuola fiorentina che fu realizzato in un edificio pubblico della città e coincide con un periodo in cui la pressione di Firenze si fece più forte nei confronti di Volterra.
Durante lavori di restauro compiuti nel 1958 sono venute alla luce le tracce di un precedente affresco probabilmente del XIII secolo e un’iscrizione in parte leggibile: “Diligite iustitiam qui iudicatis terram” (Ama la giustizia della terra). Un’altra parete è occupata dal quadro con le Nozze di Cana di Donato Mascagni, del XVI secolo, proveniente dalla Badia di San Giusto.
Sala della Giunta
Attigua alla Sala del Consiglio c’ è una sala originariamente denominata “Ad iunta” e oggi chiamata Sala della Giunta. utilizzata per riunioni ristrette fra i principali collaboratori dei priori o come sede di eventi di importanza minore. A differenza della Sala del Consiglio, non conserva l’intonacatura, ma è visibile la pietra del paramento. In questa sede trovano posto le sinopie (i disegni preparatori) dell’affresco di Iacopo di Cione conservato nella Sala del Consiglio.
Addossati alle pareti della Sala si possono ammirare i seggi dove trovavano posto i magistrati del Comune.
Al di sopra dei seggi si trova un affresco staccato, che, in origine, era posto sul muro della scalinata di accesso al Palazzo, rappresenta “San Girolamo” ed è attribuito a Luca Signorelli e datato 1491.
Sempre in questa sala sono collocati un dipinto raffigurante “Giobbe”, opera di Donato Mascagni, una “Natività di Maria” di Gian Domenico Ferretti del 1741 e una “Adorazione dei Magi” di Ignazio Hugford, sempre del 1741.
Palazzo Pretorio
Affacciandosi alle finestre che danno sulla Piazza è possibile ammirare il Palazzo Pretorio, che si trova sul lato opposto, proprio di fronte al Palazzo dei Priori. Fu costruito intorno al 1320 unendo vari corpi di fabbrica più antichi che il Comune aveva comprato alle famiglie Malcrazi e Belforti, due fra le più potenti e ricche famiglie volterrane.
In epoca comunale, era la sede del podestà e dei capitani del popolo
Duomo
La cattedrale di Santa Maria Assunta è il luogo di culto cattolico principale di Volterra, chiesa madre dell’omonima diocesi. Nel novembre del 1957 papa Pio XII l’ha elevata alla dignità di Basilica minore.
Non è sicuro quale sia stata la prima cattedrale cittadina; in ogni caso a partire dal IX secolo esisteva una chiesa dedicata a Santa Maria. Ricostruita dopo il violento terremoto del 1117, fu ampliata nella seconda metà del Duecento.
La cattedrale mostra nel transetto una decorazione di gusto classico, includente lunette ornate con la tecnica dell’ornato appiattito di gusto preromanico, e rombi digradanti che accoglievano al centro bacini ceramici. Gli stessi rombi sono presenti anche nella facciata a salienti, ripartita in tre comparti da lesene quadrangolari di tipo lombardo. Il portale marmoreo è costituito da materiale di reimpiego proveniente dal teatro romano di Vallebuona.
L’interno, pur conservando nella struttura e nell’impianto la forma basilicale a croce latina a tre navate, offre un aspetto tardo-rinascimentale. Lo spazio è diviso da ventidue colonne rivestite di stucco simulante granito rosa, intervento eseguito nell’ambito del restauro del 1842-1843, mentre i capitelli in stucco bianco realizzati nel Cinquecento e messi a oro sono di Leonardo Ricciarelli. Anche le pareti dipinte a bande bianche e grigie, il presbiterio e il pavimento sono frutto del restauro ottocentesco.
La navata mediana e il transetto sono coperti da un grandioso soffitto a cassettoni, meraviglioso insieme di elementi geometrici, decorativi, floreali, di figure di santi, di due grandi ovali dell’Assunta e dello Spirito Santo, progettato da Francesco Capriani, intagliato da Jacopo Paolini, e messo a oro da Fulvio Tucci fra il 1580 e il 1584. Sulla linea delle navate si aprono sei cappelle, che accolgono opere di pittori del secondo Cinquecento.
Le scene raffigurano, nella navata destra, l’Offerta della città alla Vergine di Pieter de Witte (1578), la Natività della Vergine di Francesco Curradi e la Presentazione di Maria al Tempio di Giovan Battista Naldini; nella navata sinistra, il Martirio di San Sebastiano di Francesco Cungi (1587), l’Annunciazione di Fra Bartolomeo Della Porta (1497), l’Immacolata Concezione di Niccolò Circignani.
L’altare maggiore ospita l’elegante ciborio di Mino da Fiesole (1471). Ai lati, sopra due colonne tortili del XII secolo, sono collocati due angeli cerifori che sarebbero stati eseguiti dallo stesso Mino.
Il gruppo scultoreo della Deposizione
Si tratta della opera d’arte più antica che si conservi ancora all’interno del Duomo.
Per la sua datazione solitamente si fa ricorso ad un documento datato 3 gennaio 1228 nel quale il vescovo di Volterra, Pagano, elargiva una particolare indulgenza a chi avesse concorso al pagamento delle onerose spese per la realizzazione di tale opera. I volterrani contribuirono generosamente tanto che la cappella venne consacrata il 24 settembre dello stesso anno.
Il gruppo scultoreo, opera di maestranze volterrane, consta di cinque figure: oltre al Cristo, nell’atto di sorreggere le mani e le braccia del Deposto sono la Madonna e san Giovanni Evangelista; inoltre Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo raffigurati mentre si affannano con scale e arnesi.
Cappelle esterne
Del complesso della cattedrale fa parte anche la cappella dell’Addolorata, dove sono custoditi due gruppi statuari in terracotta dipinta, attribuiti ad Andrea della Robbia: il Presepio, con l’affresco della Cavalcata dei Magi di Benozzo Gozzoli, e l’Adorazione dei Magi.
Il Campanile
Sulla linea della facciata, separato dalla cattedrale dalla Cappella dell’Addolorata, si erge il campanile rettangolare, con dodici bifore e quattro occhi; fu innalzato nel 1493 in sostituzione del vecchio che minacciava di crollare.
Battistero di San Giovanni
Il Battistero si trova davanti al Duomo di Santa Maria Assunta.
A pianta ottagonale, risale alla seconda metà del Duecento.
Il lato prospiciente il Duomo, caratterizzato da un rivestimento a fasce marmoree bianche e verdi, è ornato da un portale romanico attribuibile a maestranze dipendenti da Nicola Pisano.
A destra in alto rispetto alla porta principale si può vedere una lastra di marmo di forma rettangolare suddivisa in due parti.
Continuando a spostarsi a destra esiste una piccola porta di un ingresso secondario. Sempre all’esterno è possibile vedere al centro delle pareti due finestrelle su due ordini.
L’interno è mosso da sei nicchie ed è coperto da una cupola. Vi si trova, opposta alla porta principale, un altare risalente alla seconda metà del Settecento.
Le decorazioni della scarsella, che racchiude la tavola dell’Ascensione di Niccolò Cercignani, che si trova sopra all’altare, sono state eseguite da Romolo Balsimelli da Settignano su disegno di Mino da Fiesole. Tale quadro è stato danneggiato nella parte superiore dagli eventi bellici della seconda guerra mondiale.
A destra dell’altare si trova l’antico fonte battesimale eseguito da Andrea Sansovino nel 1502.
La grande vasca battesimale al centro è opera di Giovanni Vaccà (1759), ed è sormontata da una statua di San Giovanni Battista realizzata da Giovanni Antonio Cybei nel 1771.
A destra della porta d’ingresso è presente un cippo sepolcrale etrusco di marmo che è stato rovesciato e scavato e funge da acquasantiera.
Fonte: Wikipedia
Porta dell’Arco o Arco Etrusco
E’ la porta più antica della città e uno dei resti archeologici forse più rappresentativi della civiltà Etrusca.
Dalla Piazza dei Priori si scende verso Sud-Est per pochi metri per Via dei Marchesi e si svolta a destra in Via Porta dell’Arco. La via scende rapidamente dominata da palazzi medioevali in mattoni e pietra. La Porta si trova dopo circa 200 metri lungo le mura esterne della città.
Gli stipiti esterni sono quelli originali del IV-III secolo a.C., l’archivolto a pieno centro, alto 6 metri fu rifatto dai romani che vi ricollocarono tre teste umane, già nell’arco stesso, oggi irriconoscibili. La muratura al di sopra è del rifacimento risalente al periodo medioevale. I predritti dell’arco interno e i due muri interni sono originali di epoca etrusca, composti da enormi pietre ciclopiche di calcare tufaceo ricchissimo di conchiglie fossili.
Durante il passaggio del fronte da Volterra nella Seconda guerra mondiale, precisamente il 30 giugno 1944, il comando tedesco in città decise di far saltare la porta per rendere difficoltoso l’accesso alle truppe americane nemiche: tuttavia, acconsentì a non distruggere il manufatto se fosse stata ostruita entro 24 ore. La popolazione di Volterra accorse in massa e riuscì a sigillare il monumento utilizzando le pietre del selciato delle vie circostanti. Un bassorilievo collocato nel 1984 nei pressi della porta ricorda questa impresa.
La porta Diana
La Porta Diana è collocata a nord rispetto alla città di Volterra (oltrepassato il cimitero cittadino) sul versante in direzione della Valdelsa. Probabilmente risale al secolo successivo rispetto alla costruzione della Porta dell’Arco e ne sono visibili soltanto gli stipiti mentre è mancante della copertura che doveva essere in legno.
Proseguendo oltre la Porta Diana si accede alla necropoli (area di sepoltura della Volterra ellenistica).
Il Teatro Romano
Il Teatro Romano è venuto alla luce negli anni ’50 del secolo scorso grazie al Prof. Enrico Fiumi, che coadiuvato dai ricoverati dell’ospedale psichiatrico, effettuarono degli scavi in località Vallebuona.
I resti sono datati verso la fine del I secolo a.C. e la costruzione venne finanziata dalla ricca famiglia volterrana dei Caecina.
Il teatro era parzialmente scavato nel pendio naturale di un’elevazione, in analogia ai teatri greci. Alla fine del III secolo il teatro venne abbandonato e in prossimità dell’edificio scenico venne installato un impianto termale.
In epoca medioevale, le mura cittadine inglobarono il muro di chiusura della parte più alta delle gradinate (summa cavea).
L’ALABASTRO di VOLTERRA
L’alabastro di Volterra, il più pregiato d’Europa, è un solfato di calcio bi-idrato e risponde alla formula chimica CaSO4 2H2O. La sua formazione risale a circa 6-7 milioni di anni fa e si trova nel territorio volterrano in cave a cielo aperto o in gallerie.
Ogni cava genera una tipologia di alabastro diverso per aspetto e consistenza, dovuto al variare della composizione chimica del terreno; quindi le varietà meno ricche di inclusioni risultano bianche, più o meno trasparenti; inclusioni di argilla e ossidi metallici danno origine ad alabastri tendenzialmente grigi venati (bardiglio); altre colorazioni ambra, giallo e rossastro sono dovute ad ossidi e idrossidi metallici, in special modo ferro.
Fonte: http://www.artierialabastro.it/
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[1] Gualtieri VI di Brienne (Brienne, 1304-1305 – Poitiers, 19 settembre 1356) fu un nobile di origine francese, la cui vita si divise tra la Grecia, la Francia e l’Italia. Portò i titoli di Conte di Brienne, di Conversano e di Lecce, nonché quello solo nominale di Duca d’Atene, che fu però quello col quale divenne celebre. Dopo essere stato per alcuni anni in Francia, dopo la morte della moglie (1340) tornò in Italia nel 1342. Fu chiamato dai governanti di Firenze l’anno successivo perché preoccupati per la crisi economica a seguito del mancato rimborso dei prestiti fatti ad Edoardo III d’Inghilterra dai banchieri cittadini, e disperati per le strenue lotte tra guelfi e ghibellini, avevano deciso da alcuni anni di affidare la città a un podestà a condizione che fosse straniero e quindi non legato ad alcuna fazione. Sebbene l’incarico di Gualtieri fosse a scadenza, i ceti bassi di Firenze spinsero affinché fosse nominato signore a vita, ben impressionati dalle sue prime iniziative. Ma la stima durò poco e solo dieci mesi dopo la sua nomina, i fiorentini congiurarono per liberarsi di lui. Minacciato di eliminazione fisica rassegnò il potere e fuggì dalla città il 26 luglio 1343, giorno di Sant’Anna. La cacciata del Duca d’Atene rimase un episodio “mitologico” nella storia cittadina, descritto con viva partecipazione dal Villani o usato come tema di affreschi per esempio da Andrea Orcagna.
A Firenze rimase sempre noto semplicemente come il Duca d’Atene, e fu citato anche nella novella settima del secondo giorno del Decameron di Boccaccio.
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