di Beppe Tanelli

 

La nave lascia Piombino. Il profilo dell’Elba illuminata dal sole dell’alba, è sempre più netto. A sud il mammellone della penisola di Calamita, un pezzo della Toscana più antica. Il suo dolce scendere dagli oltre quattrocento metri della vetta al mare, rivela tutta la sua età.

Anche la natura delle rocce che lo formano indica una lontana genesi. Sono antichi sedimenti argillosi con livelli di lave vulcaniche, metamorfosati in filladi, micascisti e anfiboliti; un complesso di rocce noto come Gneiss di Calamita. Come minimo risalgono a 400-500 milioni di anni fa (SilurianoOrdoviciano), ma potrebbero essere anche più vecchie (Precambriano). Possono essersi formate quando ancora nel Pianeta Terra la vita era ristretta solo agli organismi batterici. Prima della grande “esplosione biologica” del Cambriano di 530 milioni di anni fa, durante la quale si formarono gran parte dei moderni Phyla del regno animale e vegetale.

Le rocce di Calamita, per alcune centinaia di milioni sono andate alla deriva alla superficie del Pianeta in un continuo divenire di moti geodinamici. Poi, attorno a 260 milioni di anni fa, nel Permiano superiore, il territorio di Calamita è divenuto parte integrante della Pangea, il Supercontinente che riuniva tutte le terre emerse del Globo (www.elbadascoprire.com).

Calamita è la Terra del ferro magnetico, la magnetite. Un ossido di ferro con proprietà ferromagnetiche, e talora con le caratteristiche di un magnete naturale. Proprietà magiche e misteriose che ci portano nella Lidia anatolica, e agli albori della civiltà etrusca.

Scrive Erodoto nel V sec. a. C:

“Dato che la carestia non diminuiva…il re dopo avere diviso in due gruppi tutti i Lidi, ne sorteggiò uno perché rimanesse, l’altro perché lasciasse il paese…pose sui figlio Tirreno a capo del gruppo che abbandonava la patria…Quelli di loro che ebbero in sorte di lasciare il paese scesero a Smirne e costruirono navi e, dopo averle riempite di tutti gli oggetti utili per loro, salparono…” (Storie, I, 94, 5-7).

Non sappiamo se l’origine degli Etruschi sia stata veramente come la narra Erodoto.  Quattro secoli dopo Dionigi di Alicarnasso pensa che:

“Sono forse più vicini alla verità quelli che sostengono che i Tirreni non sono emigrati da nessun luogo, ma sono invece un popolo indigeno” (Antichità romane, I, 26-30).

La questione è ancora aperta, nonostante le moderne ricerche genetiche sul DNA. Forse la verità sta nel mezzo. Ma se quanto narra Erodoto è una componente del sorgere della civiltà Etrusca, ci piace pensare che fra i materiali che i Lidi caricarono nelle loro navi, ci fossero anche dei pezzi di magnetite, la “pietra di Magnesia”. Era una pietra magica dalla quale estraevano il ferro, il metallo dei Calibi. In alcuni casi frammenti allungati della pietra erano in grado di indicare la rotta “ indicando sempre  il luogo fra il sorgere il tramontare del sole“, come narra un anonimo navigante fenicio.

I giacimenti erano nei dintorni di Magnesia ad Sypilum, la città di Niobe e Tantalo, dalle antiche vestigia ittite, a nord-est di Smirne, lungo le pendici del Monte Sipilo.

Dalla magnetite di Magnesia a quella della Penisola di Calamita, la fantasia può galoppare. Dai miti alla storia.

Attorno all’IX – VIII sec. a.C, al sorgere della civiltà VillanovianaEtrusca, giungono dall’area egea-anatolica nelle nostre contrade le conoscenze per trasformare il duttile ferro in acciaio. Le miniere ferrifere dell’Elba divengono, un presidio della città di Populonia, e un perno della potenza economica etrusca. Poi le coltivazioni, fra alti e bassi sono durate per quasi tremila anni fino a quel giorno del 1981 quando è stata chiusa la miniera del Ginevro, ad oriente di Punta Calamita, e le miniere ferrifere elbane da risorse materiali sono passate ad essere vere e proprie risorse culturali ed ecoturistiche (www. minieredicalamita.it).

Ma la Terra del Ferro magnetico non è il solo frammento della antica Pangea che troviamo all’Elba. Verso nord, andando lungo costa, altri pezzi dell’antico Supercontinente, li troviamo fra Capo d’Arco e Ortano: sono quarziti e filladi attribuite all’Ordoviciano. Poi ancora più a settentrione fra Rio Marina e Cavo affiorano delle filladi nerastre grafitose. Contengo numerosi fossili vegetali e resti di organismi che popolavano il mare fra 320 e 270 milioni di anni fra Carbonifero superiore e il Permiano inferiore. Sono queste le Terre del ferro oligisto, dove domina l’ematite “il minerale povero di ferro”, spesso associata a pirite e quarzo (www.parcominelba.it).

Nel seicento i cristalli di quarzo e di ematite delle miniere di Rio, studiati dal danese Niels Stensen (Niccolò Stenone), ai tempi del Granduca Ferdinando II, lo storico protettore di Galileo, aprono la ricerca scientifica sulla struttura della materia allo stato solido: i prodomi di quelle conoscenze che hanno portato ai nanomateriali e alle indagini sul genoma umano.

Il sarcofago del Beato Niccolò Stenone,  custodito nella Cappella a lui dedicata nel transetto di destra della Basilica di San Lorenzo a Firenze, e alcuni campioni da lui studiati sono parte de “I 5000 Elbani”, una delle più celebri collezioni mineralogiche del Mondo custodita nel Museo di Mineralogia dell’Ateneo fiorentino. La maggioranza dei campioni proviene dalle raccolte di due personaggi, che hanno segnato la cultura dell’Elba nella seconda metà del XIX secolo: Raffaello Foresi e Giorgio Roster, e da un terzo personaggio, Luigi Celleri, che dei due fu il prezioso collaboratore e al quale è dedicato il Museo Mineralogico di San Piero (www.museomum.it).

 

Museo Mineralogico di Rio Marina

Museo Mineralogico di Rio Marina

 

Magnetite ed ematite sono due ossidi di ferro; che si alterano facilmente in un miscuglio di idrossidi, la limonite, che con i suoi colori giallo, rosso, nero e le sue cangianti iridescenze, tinge le acque ed i suoli delle vecchie zone minerarie. E’ il minerale che si rigenera nelle fosse come scrive Strabone, dando ai giacimenti ferriferi dell’Elba quel carattere di magica inesauribilità cantata da Virgilio nell’Eneide: “Ilva …insula inexhaustis Chalybum generosa metallis” (X, 174).

Doppiato Capo Vita, sotto l’eclettica costruzione del mausoleo Tonietti, appare la Cala dei Cancherelli, coperta dai resti sabbiosi di un antico sistema dunale inciso dal mare.  I paleosuoli intercalati alle sabbie mostrano al radiocarbonio un’età fra 48.000 e 21.000 anni fa. Siamo nell’ ultima fase glaciale, il livello del mare scende fino ad un centinaio di metri sotto l’attuale quota zero e l’Elba è una penisola unita al continente e a Pianosa. Gruppi di cacciatori e raccoglitori percorrono il territorio seguendo cervi e cinghiali. Inizialmente sono uomini e donne degli ultimi neanderthal, poi arrivano i primi sapiens. Sono i tempi della Dea madre e degli splendori delle pitture rupestri della Grotta di Chauvet nel sud della Francia, la “Cappella Sistina del Paleolitico”.

I loro antenati erano partiti dalle grandi valli dell’Africa Orientale – la culla del genere homo – un paio di centinaia di migliaia di anni prima e stavano accingendosi a divenire, nel bene e nel male, la specie dominante della biosfera. Poi la morsa del freddo si allenta, i ghiacci si sciolgono ed il mare torna a salire. Attorno a 12.000 anni fa, quando nel meridione dell’Anatolia e in Palestina (Gobekli Tepe, Gerico, Catal Huyuk), sorgevano le prime comunità di pastori e agricoltori, il mare torna a ricoprire lo stretto di Piombino e   l’Elba acquista la sua insularità.

Ma riprendiamo la navigazione. Costeggiamo la Rivercina. Le rocce che formano i monti e le falesie della costa, da Capo Vita alla Rada di Portoferraio, salgono al Volterraio e in una lunga fascia, dalla Villa romana delle Grotte, arrivano a meridione fino al santuario di Monserrato sopra Porto Azzurro, sono porzione del fondo di un bacino oceanico, oggi scomparso, che fra i 170 e 100 milioni di anni, al tempo dei grandi dinosauri, si apriva fra gli antichi continenti dell’Europa e dell’Africa. Sono rocce magmatiche ofiolitiche (gabbro, serpentinite, basalto) e sedimentarie (diaspro, calcari, argille e arenarie) sradicate dal loro substrato e giunte fino alle nostre contrade durante i grandi movimenti orogenici delle Alpi prima e degli Appennini poi.

La nave sta entrando nella Rada di Portoferraio, dominata dal castello del Volterraio e dalle imponenti fortezze della città di Cosimo. In alto la Villa dei Mulini, residenza di Napoleone, sovrasta lo Scoglietto e la spiaggia de Le Viste. Poi Le Ghiaie e il mare incantato di Capo Bianco. All’orizzonte, l’Enfola – sede del Parco Nazionale – e le aspre guglie del Monte Capanne: una grande massa di monzogranito che si eleva fino a 1019 m.  Si è consolidata all’interno della crosta terrestre fra gli 8 e i 7 milioni di anni fa, più o meno quando, grandi eruzioni vulcaniche formavano le rocce di Capraia. Poi intensi movimenti tettonici e l’erosione hanno portato a giorno la massa granita del Capanne. Il batolite è stato inciso dalle acque e dal vento; modellato dai ghiacci e dalla salsedine. Si sono formati contrafforti e valli, tafoni e tor, macei e coti, lisce e sculture zooformi. Siamo nelle Terre del Granito.

Alla Madonna del Monte di Marciana, una grande aquila scolpita dal vento e dalla salsedine ci ricorda i luoghi vissuti da Napoleone e Maria Walewska. La Torre pisana di San Giovanni eretta su di un maestoso tor, domina il mare di Campo. Vi sono luoghi nascosti, dove il granito è lo scrigno di policrome tormaline, di splendidi cristalli di berillo, quarzo e ortoclasio, o dove emergono dalla macchia antiche colonne e bacili, rimasti incompiuti, e circoli di misteriosi menhir. Qui per millenni è stata cavata la pietra con la quale sono state fatte le colonne del Pantheon di Roma, e delle Cattedrali di Aquisgrana e di Pisa; la vasca della Fontana dell’Oceano del Giambologna a Boboli , fino alle moderna scultura di Gio Pomodoro , a Pomonte. Un’ opera posta là dove un tempo si caricavano nei barconi il vino e il granito; dove da sempre si ripete, ma sempre diverso, lo spettacolo del sole che nello scorrere dell’anno tramonta, da dietro i monti della Corsica fino al mare di Capraia.

E’ uno spettacolo semplice e grandioso, una sinfonia di colori e di luci che inizia con le ripe e le coti di granito che si tingono di una intensa luce rosata, prosegue con il cielo azzurro che si tinge dei colori del melograno, ed esplode quindi nelle tinte violacee del rosso vermiglio.

E siamo giunti alla fine di un viaggio durato un giorno, ma che può durare una vita.

 

Beppe Tanelli