Con lo sviluppo dei commerci e il parallelo sviluppo delle transazioni bancarie internazionali, la moneta di Firenze crebbe nel tempo il suo potere ed il suo prestigio, diventando in tutta Europa una moneta di riferimento per gli scambi commerciali.

Uno dei fattori che favorì la fama del Fiorino e delle banche fiorentine furono le cosiddette “lettere di credito”.

I mercanti che compravano merci nel tardo medioevo e nel rinascimento trovavano pericoloso e difficile viaggiare in Europa e in Oriente con i soldi a seguito. Era infatti assai probabile essere derubati da banditi e predoni, oppure incappare in disavventure come i naufragi o i viaggi ai limiti del possibile attraverso le Alpi.

Negli anni alcuni mercanti organizzarono reti di parenti o di amici lungo le tappe del percorso, che custodivano in deposito parte del denaro e dei beni – per non dover portare sempre tutto con sé. Il luogo del deposito era di solito fornito di cassoni e di pianali chiamati “Banchi”.

I gestori dei “Banchi” seppero guadagnarsi la fiducia dei mercanti, in modo tale da essere stimati sia dai venditori sia dai compratori. Rilasciavano una ricevuta, cioè un “certificato di deposito” al proprietario dei beni e del denaro che tenevano in deposito. Nel tempo nacquero diverse filiali collegate fra di loro, sia di banchieri che di mercanti d’oro.

I viaggiatori potevano recarsi con il proprio certificato di deposito in qualsiasi filiale a ritirare il proprio denaro o il proprio oro. Altrimenti potevano chiedere al banchiere di consegnare parte del proprio deposito a terze persone, anche a distanza. Un pò per volta i mercanti presero l’abitudine di effettuare pagamenti con queste ricevute o certificati di deposito.

È il sistema delle lettere di credito, che è in uso ancora oggi.

Le lettere di credito erano un certificato rilasciato da un banchiere, presso il quale era stato depositato del denaro, che garantiva la consegna di una cifra analoga (tolto un aggio per la banca) in una filiale della propria banca in un altro paese.

Questo sistema iniziò a funzionare per due principali motivi: prima di tutto perché alcune banche (ma bisognerebbe dire famiglie) iniziarono ad aprire uffici di corrispondenza in molte città strategiche dell’Europa di allora, in secondo luogo questo sistema si sviluppò perché queste famiglie e i loro uffici svilupparono nel tempo una grande fiducia fra i commercianti, assolvendo egregiamente a questo compito.

Sia per tenere in deposito il denaro o le merci, sia per emettere lettere di credito, al banchiere veniva pagata una commissione. Il banchiere nel giro di pochi anni si trovava a detenere grandi quantità di denaro che apparteneva a tanti mercanti diversi, i quali facevano affari usando le lettere di credito, e spostavano il meno possibile le monete vere e proprie da una parte all’altra del territorio. Le lettere di credito finirono così con l’essere usate come denaro.

La prima Banca moderna fu fondata nel 1406 a Genova. Ma fu la famiglia Medici di Firenze a diffondere l’uso di lettere di credito su vasta scala. I Medici organizzarono anche un servizio in più: la remunerazione dei depositi. L’addebito di qualunque interesse sui prestiti, chiamato “usura” era proibito nel mondo cristiano, come oggi in parte del mondo islamico. Ma i Medici usarono contratti di acquisto e di vendita a termine di monete diverse, con rischio di cambio, per dare una veste diversa alla remunerazione dei capitali.

La Chiesa non vedeva di buon occhio questo sistema perché favoriva, a buona ragione, lo sviluppo dell’usura, ma le famiglie che esercitavano queste attività, ammorbidirono l’opposizione della Chiesa finanziando l’arte ed in particolare quella ecclesiastica come la realizzazione di dipinti e affreschi per case private, ma anche per le chiese e finanziarono la costruzione stessa di chiese e cattedrali la più famosa delle quali fu proprio Santa Maria del Fiore, l’odierno Duomo di Firenze.

Il Fiorino (con i coevi genovino e zecchino) fu una delle prime monete d’oro coniate in Italia dopo la caduta dell’Impero Romano. L’utilizzo dell’oro nella monetazione europea divenne possibile con la ripresa dei commerci con il Nordafrica da cui arrivava la maggioranza dell’oro utilizzato per le monete e il commercio.

Il nome “Fiorino” derivava dal simbolo araldico della città di Firenze che era l’Iris (o giaggiolo, che erroneamente è stato chiamato giglio) che era rappresentato su una faccia della moneta. Sul rovescio veniva incisa l’immagine di San Giovanni, patrono della città a simboleggiare che la politica e la preghiera erano fuse insieme.

La moneta era in oro puro a 24 carati e pesava 3,54 grammi e fu coniata per la prima volta a Firenze nel 1252.

A partire dalla sua introduzione e per tutto il rinascimento, grazie alla potenza economica di Firenze, il fiorino divenne tra le monete comunemente accettate in tutta Europa. Con le stesse motivazioni, altre monete d’oro furono introdotte da altre potenze commerciali, come lo zecchino per la Repubblica di Venezia o il genovino per Genova.

Nel 1296 Firenze coniò anche una moneta d’argento chiamato “Popolino” con un titolo di 958 e 2/3 per 1000, aveva un valore di 2 soldi o 1/20 del fiorino d’oro. Fu coniato anche un fiorino piccolo con un valore pari a quello del denaro, 1/12 del soldo.

Gli zecchieri di Firenze erano due, uno per le monete d’oro prescelto dall’Arte di Calimala e l’altro, responsabile delle emissioni in argento e mistura, nominato dall’Arte del Cambio. La carica, salvo poche eccezioni, aveva una durata di sei mesi, nel corso del loro mandato gli zecchieri apponevano la propria armetta sulle monete ed erano strettamente controllati nel loro operato.

Peso, diametro e contenuto d’oro dei fiorini e delle altre specie dovevano risultare, infatti, quanto più possibile costanti e, a tal fine, agivano due “sentenziatori” che, nominati tra i “boni aurifices” fiorentini, saggiavano gli esemplari coniati per decidere se metterli in circolazione o rifonderli.

Per la verifica ponderale esistevano due esemplari di un peso ufficiale, detto “saggiolo”, corrispondente al peso minimo tollerato per il fiorino d’oro e, mentre un esemplare era usato dai “sentenziatori” per i saggi in zecca, l’altro era custodito dal Capitano del Popolo che verificava, ogni settimana, la corrispondenza tra i due campioni.

Nonostante questi tentativi di mantenere costanti le caratteristiche del fiorino, tuttavia, piccole variazioni di peso e di titolo ebbero luogo a più riprese, facendo oscillare la moneta di Firenze tra un minimo di 3,3288 grammi (nel 1402) ed un massimo di 3,5515 grammi (nel 1422).

Dal punto di vista del contenuto d’oro, invece, si andò da un minimo di 954,9 millesimi (ma è un caso isolato) ad un titolo pieno di 1000 millesimi, per una media di 987,7 millesimi di fino.

Nei commerci si arrivò a distinguere, di caso in caso, i fiorini “nuovi”, ”pesanti”, ”forti”, ”leggeri”, ”manomessi” e “macchiati” senza contare gli esemplari usurati dalla circolazione, quelli tosati e, infine, quelli contraffatti.

Negli anni fra il 1344 e il 1351 la zecca di Firenze coniò oltre 100.000 fiorini all’anno.