Silvestro Lega è nato a Modigliana, a quel tempo parte della Romagna fiorentina, oggi in provincia di Forlì, l’8 dicembre del 1826.
Silvestro nacque dalle seconde nozze del padre dopo la morte della prima moglie che aveva messo al mondo 9 figli in dodici anni. Il padre, Antonio si risposò con Antonia Mancini, che era stata domestica nella casa del padre.
Il suo carattere era tipicamente romagnolo: “fiero, ardente e generoso, facile a vibrare d’entusiasmo, a impennarsi di sdegno.” (Luciano Tinti, Silvestro Lega. Istituto Nazionale L.U.C.E. Bergamo 1931)
Si trasferì a Firenze a 17 anni, nel 1843 a casa di un fratellastro e, dopo l’esperienza della scuola degli Scolopi di Modigliana, si iscrisse alla Reale Accademia di belle Arti, dove a quel tempo insegnava il livornese Enrico Pollastrini (1818-1876), discepolo a sua volta di Giuseppe Bezzuoli (1784-1860), entrambi pittori classicisti, ma già alquanto disimpegnati dai pregiudizi accademici degli “statuari” e dell’estetica winkelmanniana.
La sua permanenza all’Accademia però fu breve perché agli insegnamenti del Pollastrini preferì quelli di Luigi Mussini (1813-1888), dal quale apprese l’utilizzo di colori limpidi e puri, frutto di un attento studio della pittura dei primitivi.
Il Mussini, insieme al pittore francese Adolf Franz Sturler (Parigi 1802 – Versailles 1881), aveva aperto una scuola privata di pittura con il proposito di riscoprire metodi di insegnamento pratici e insieme “paternalistici” delle antiche botteghe.
Il nuovo maestro di Lega, che Telemaco Signorini, così poco incline a sprecar lodi, chiamava “forte coscienza di artista”, non era un classicista alla maniera del Bezzuoli (con il quale egli pure aveva studiato), ma si ispirava ai principi dei “Puristi”, i quali credevano che il ritorno allo studio dei maestri del trecento e quattrocento, cioè allo studio del “vero”, potesse rialzare l’arte italiana sopra solide fondamenta.
Mussini ebbe un profondo ascendente sulla formazione di Silvestro Lega e influì particolarmente nel determinare lo stile della sua prima maniera di tipo “purista”.
Nel frattempo a Firenze e in Italia era divampato lo spirito patriottico e repubblicano, proteso verso l’unità nazionale, al punto che Silvestro Lega abbandonò tavolozza e pennello per arruolarsi nel battaglione studentesco che fu impegnato nella battaglia di Curtatone e Montanara.
Lega da allora fu un fervente mazziniano vicino al suo conterraneo Don Verità, che nel 1849 aiutò Garibaldi, fuggiasco attraverso la Romagna per varcare il confine dello Stato Pontificio per trovare rifugio proprio in Toscana.
Tornato dalla guerra, Lega riprese gli studi a Firenze sotto l’insegnamento di Antonio Ciseri (1821-1891), altro discepolo del Bezzuoli e artista di transizione fra il classicismo e il naturalismo, che però generò dubbi a Lega circa la sua conversione al naturalismo dei Macchiaioli.
Le sue frequentazioni del caffè Michelangelo, insieme agli altri artisti che composero il movimento Macchiaiolo, lo spinsero ancora di più verso il rifiuto della pittura classica, arrivando a considerare la pittura del francese Courbet, troppo protesa alla ricerca del realismo, e supponendo che dalla Francia venisse imposto, con il realismo, un qualche re da servire.
Ma poi, visto come questo realismo non fosse altro che lo studio più sincero della realtà, del carattere, della forma, in rapporto all’ambiente luminoso dell’aria aperta, e in opposizione a qualunque concetto e preconcetto accademico, e come fosse, chi lo propugnava in Francia, il più rivoluzionario di tutti gli artisti, un allievo della natura, allora, come aveva lasciato il Mussini, lasciò anche la scuola di Antonio Ciseri della quale era stato il più strenuo difensore.
Fino ad allora Lega aveva dipinto quadri storici sul tema risorgimentale, tema ricorrente in quegli anni fra i giovani Macchiaioli, ma intorno al 1859-1861 maturò la conversione al tema macchiaiolo.
Il “macchiaiolismo” di Lega doveva peraltro assumere un timbro tutto speciale, consono al suo spirito idealista e romantico legato all’educazione mussiniana.
Lega portò all’aria aperta, in mezzo alla realtà e alla vita, l’ipotesi mussiniana di un nuovo primitivismo, ed ecco che essa, pur rimanendo come ispirazione ed ipotesi, la “macchia” invade i freddi impianti “puristi”, permeandoli della loro essenza lirica, fino al punto di rigenerarli in forma totalmente nuove e diverse.
Telemaco Signorini definisce “pacata” la pittura di Lega fra il 1861 e il 1875 che si espresse in molte opere come L’educazione al lavoro (1863), Passeggiata in giardino (1864), L’elemosina (1864), La visita (1868), La cameriera (1868), Il canto dello stornello chiamato anche La lezione di piano (1868), Mazzini morente (1873) e altri come La Reverie, La toelette, Gli occhiali della nonna, Le bambine che fanno le signore, Il vestito del bimbo, L’indovina, La curiosità, Il dopo pranzo, Gli sposi novelli, Le gioie materne e tutti i ritratti della famiglia Cecchini.
In questi dipinti l’ispirazione è realistica e, spesso, addirittura descrittiva, l’espressione invece è riferibile all’incontro di un classico naturalismo con un sentimento schiettamente romantico.
In quegli anni Lega viveva fuori dalle mura di Firenze, in Via Piagentina, fra il torrente Affrico e l’Arno, una zona composta da piccole case, orti e giardini. In quella zona erano andati ad abitare anche altri Macchiaioli come Odoardo Borrani, Giuseppe Abbati, Raffaello Sernesi e più tardi, dopo il rientro dalla Francia, anche Telemaco Signorini.
Durante quel periodo Lega ha dipinto gli orti, i pergolati, gli aneddoti della vita rurale, gli aspetti più toccanti del paesaggio, le sembianze degli amici e delle amiche. Ma un tema ricorre frequentemente nei suoi quadri: la vita domestica, le soavi e malinconiche donne della casa ospitale.
Gli ultimi dieci anni della sua vita furono tartassati dalla sventura. Alla morte dei fratellastri e delle amiche più care, visse in condizioni economiche precarie, mendicando un letto presso famiglie amiche. Poi una grave malattia agli occhi gli amareggiò ulteriormente la vita e soprattutto la gioia dell’arte, riducendolo a non vedere solo larghe masse, solidi piani e le tonalità generali.
Tuttavia quella semi-cecità avrà l’effetto di conferire un’espressione ancora più interiore e metaforica alla sua arte. La gamma dei colori si fa più fioca e più tenue, in alcuni casi livida e sinistra, talvolta quasi fosse investita dalla luce di un’eclisse. Da questa fitta trama di chiaroscuri, i profili delle forme affiorano con la sommarietà fantomatica delle cose intraviste nello stupore silente dei sogni.
Nei dipinti che precedono la quasi completa cecità (1880-1892), il suo pennello procede come a tastoni e raggiunge una intensità trasfigurativa che ha addirittura del musicale.
I suoi dipinti sono ormai proiezioni di un mondo interiore, appoggiati sopra una trama plastica tenue quanto un guscio di crisalide.
Il destino volle che gli ultimi anni della sua vita (dal 1886) li trascorresse a Gabbro, sulle colline livornesi, dove il sole estivo è cocente e aspro, la terra dura, l’autunno si attarda solenne nella porpora messi dei vigneti. Qui il Conte Odoardo Roselmini che con sua signora abitava, quasi costantemente, la bella villa di Poggiopiano, lo ospitò a lungo.
La proprietaria di questa villa, Clementina Fiorini, era una donna energica e operosa che apprezzava molto l’attitudine «randagia e brontolona» di Lega.
Potendo contare su quest’amicizia, Lega aveva la sicurezza di non essere dimenticato né solo, trascorse pertanto un’anzianità serena e dignitosa.
Silvestro Lega morì il 21 settembre 1895 nell’ospedale di San Giovanni di Dio a Firenze:
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