Quasi 700 anni nascosto sotto l’intonaco lo hanno preservato da intemperie, censure e manomissioni.

Eppure l’affresco di sei metri per cinque, realizzato molto probabilmente intorno al 1265 ci consegna molti caratteri emblematici del tardo medioevo.

L’affresco si trova subito dietro la meravigliosa cattedrale romanica di Massa Marittima, in provincia di Grosseto, ed è collocato sulla parete esterna del Palazzo dell’Abbondanza, all’interno di una delle tre arcate a sesto acuto che coprono le vasche, dalle quali gli abitanti attingevano l’acqua.

Il grande affresco fu voluto dal Podestà Ildebrando Malcondine, sul Palazzo denominato dell’Abbondanza perché all’interno venivano riposte le scorte di cereali per i tempi di carestia.

Nel 1999, durante i lavori di restauro del palazzo, è emerso un affresco, a dir poco sorprendente, che rappresenta un grande albero dal quale sporgono ben venticinque grandi ed evidenti frutti di forma fallica in erezione.

L’iconografia dell’affresco però non si ferma qui perché, al di sotto dell’albero si sviluppano diverse scene che coinvolgono delle donne e dei grandi uccelli neri che svolazzano tenebrosi fra le donne e l’albero.

In tutto si possono osservare nove giovani donne, una delle quali è intenta a far cadere gli ambiti frutti con un bastone. Subito accanto due di queste si accapigliano, afferrandosi reciprocamente i capelli, contendendosi un grosso frutto (fallo), per riporlo in un’anfora.

Tutta questa scena è dominata da una grande aquila nera, e quattro corvi che svolazzano minacciosi. L’aquila è immobile, in posizione quasi eretta, con le ali spiegate e la testa rivolta verso sinistra, evocando lo stemma imperiale, e Ghibellino, a quei tempi adottato anche a Pisa, città di origine del Podestà Ildebrandino.

Sulla parte destra dell’albero vi sono altre quattro donne, in atteggiamento composto e amichevole (due sono a braccetto), due delle quali, dalla forma delle vesti e dalla posa delle mani, potrebbero essere gravide. Sopra di loro volteggia una sola aquila nera.

Al di là di confermare che a quei tempi non vi era pudore né timore a rappresentare scene sessualmente così esplicite, l’insieme dell’affresco va ben oltre questo inserendo probabilmente l’elemento di politica sottolineato dal potere ghibellino, rappresentato dalle aquile, che controlla gli eventi, ora dominando le figure ordinate, ora svolazzando minaccioso sopra le donne in tumulto.

Il fatto che l’affresco sia collocato in luogo pubblico, praticamente all’aperto, anche se sotto un porticato adibito a fontana, fa capire sia l’importanza della fertilità per le donne di quell’epoca, che si azzuffano pur di avere qualcuno che le fecondi, sia l’ordine imposto dal potere politico che, pur assecondando lo scopo, predilige la compostezza alla ribellione.

In Toscana non la prima opera d’arte che raffigura gli organi maschili è il primo che ritroviamo in genere come ornamento di fonti (come a Siena, a Poggibonsi e a San Gimignano), che, associato proprio all’acqua, sottolinea il simbolo della vita e della fertilità.

See Image of affresco dei falli, Schloss Moos-Schulthaus - Appiano (BZ)

Affresco dei falli nel Castello di Moos-Schulthaus ad Appiano (BZ)

Per ritrovare un albero con i frutti a forma di fallo dobbiamo invece spostarci al castello di Moos-Schulthaus ad Appiano, in provincia di Bolzano. Qui però l’affresco è presente in un luogo privato all’interno di una stanza e non all’aperto come a Massa Marittima. Inoltre l’opera, e l’allegoria della stessa, non è paragonabile a quella della Fonte dell’Abbondanza o della fertilità.

Nel 2019, durante un ulteriore fase del restauro del Palazzo dell’Abbondanza, è stato rinvenuto un secondo affresco, anche questo probabilmente risalente al XIII secolo, che raffigura una donna che tiene in catene due belve e dei guerrieri che proteggono il cunicolo di accesso ad un deposito sotterraneo dell’acqua. Altre due figure, ai lati del cunicolo, ne proteggono l’accesso. Si tratta di due fiere, probabilmente due leoni (o un leone ed un orso), mentre sulla lunetta sopra l’accesso è rappresentata una sirena con due code.

La simbologia raffigurata in questi affreschi è profonda e tipica dell’epoca. Un’epoca che non aveva paura a confrontare il sacro (la cattedrale di San Cerbone è veramente a pochi metri) con il profano (il priapismo e la fertilità). Come la protezione dovuta ad un bene prezioso come l’acqua, affidata a fiere, guerrieri e persino ad un essere mitologico come una sirena.

 

testo e foto di Claudio Del Lungo