di Anselmo Pagani

 

Le trame preparatorie della “Congiura dei Pazzi”, che il 26 aprile del 1478 insanguinò Firenze, ci sono note perché dettagliatamente descritte nella confessione resa agli inquirenti dell’epoca dal capitano di ventura Gianbattista da Montesecco, uno dei suoi organizzatori.

La prima riunione operativa si tenne a Roma, nella primavera del 1477, fra lo stesso Montesecco, il banchiere fiorentino Francesco de’ Pazzi, l’arcivescovo di Pisa Salviati ed il conte di Imola Girolamo Riario, nipote di Papa Sisto IV. Ognuno di loro aveva i suoi buoni motivi per odiare il “MagnificoLorenzo de’ Medici, che aveva ormai instaurato nel capoluogo toscano una sorta di principato personale.

Il timore che il recente infeudamento di Girolamo Riario nella Contea di Imola, acquistata col denaro fornito dal de’ Pazzi a Papa Sisto che smaniava per dare lustro al blasone del nipote prediletto col dono di una Signoria romagnola, sarebbe stato di breve durata era chiaro a tutti i componenti del gruppo, tanto che il Salviati affermò: “Se questa cosa non se fa, al Riario non gli daria del suo Stato una fava”, perché prima o poi il Medici glielo avrebbe soffiato, annettendolo a Firenze.

Quanto al Pazzi, una “leggina” fatta approvare dal Magnifico al Senato fiorentino, che aveva iniziato tacitamente ad ubbidirgli, gli aveva impedito d’incamerare l’immensa eredità del nonno da poco defunto, come vendetta per aver fornito al Papa quei denari dopo che Lorenzo glieli aveva rifiutati, perché su Imola gli occhi li aveva messi anche lui.

Per i congiurati bisognava dunque sbarazzarsi di Lorenzo de’ Medici e del fratello Giuliano, suo braccio destro. La persona  da loro individuata per passare all’azione era proprio il Montesecco, uno che di scrupoli ne aveva sempre avuti pochi.

Ma Papa Sisto IV che pensava di questa ipotesi? “Io non voglio la morte de niun per niente, perché non è offizio nostro acconsentire alla morte de persona, ma la mutatione de lo Stato sì”: con questa pilatesca risposta a chi sollecitava un suo parere, il Pontefice sostanzialmente “si lavò le mani”, non volendo apparire come un omicida, ma al tempo stesso riaffermando tutto il suo astio nei confronti del Magnifico, tanto che i congiurati, colta la palla al balzo, s’affrettarono a mettere in pratica il loro piano.

Da parte sua il Magnifico non era certo uno sprovveduto, tanto più perché un’efficace rete spionistica l’aveva informato dei rischi che correva, ma per calcolo politico non volle mai dimostrarsi pavido perché così facendo, nel codice non scritto del potere, avrebbe finito per soccombere. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, i cospiratori vollero approfittare dell’occasione offerta dall’entrata in città del giovane Cardinale Raffaele Sansoni Riario (anche lui nipote di Sisto IV) e dalla Messa solenne da lui officiata in cattedrale alla presenza di tutti i maggiorenti cittadini.

Ecco allora che, secondo il resoconto dal Machiavelli scritto circa cinquant’anni più tardi, quel giorno Francesco de’ Pazzi e Bernardo Bandini, incaricati di uccidere Giuliano, andarono a prenderlo a casa sua temendo che non si presentasse a Messa a causa di un’indisposizione e, dopo averlo abbracciato per sincerarsi se indossasse o meno la maglia protettiva in ferro, l’accompagnarono in cattedrale.

Pur se insospettito Giuliano si lasciò convincere, pensando che nessuno osasse fargli del male in un luogo consacrato a Dio. Purtroppo per lui però al momento dell’elevazione del Santissimo Sacramento, quando tutti erano in raccoglimento, il Bandini gli conficcò un pugnale nel petto e, dopo che fu stramazzato a terra, fu raggiunto dai fendenti menati dal Pazzi, che nella sua furia omicida si ferì ad una gamba.

Gli altri due sicari invece, i preti Antonio Maffei e Stefano da Bagnone, afferrarono Lorenzo, ma mentre uno di loro gli poggiò la mano sulla spalla per immobilizzarlo e colpirlo a morte, la vittima designata con uno scatto felino riuscì a liberarsi e, dopo aver scavalcato d’impeto la balaustra del coro, si rifugiò in sagrestia.

Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci, disegno dell’impiccagione di Bernardo di Bandino Baroncelli

Visto il parziale insuccesso del loro piano, i congiurati cercarono di svignarsela, ma i due preti sacrileghi furono subito catturati e linciati dalla folla inferocita, mentre il Bandini, scappato fino a Bisanzio, fu poi estradato nel dicembre del ’79 per finire impiccato alle finestre del Bargello, dove il giovane Leonardo, vistolo a penzoloni ancora vestito alla turchesca, lo ritrasse in un famoso schizzo.

Francesco de’ Pazzi invece si rifugiò nel suo palazzo, per esservi però raggiunto da una folla di forsennati che lo fecero denudare per poi farlo sfilare per le vie del centro sino ad impiccarlo alla finestra più alta del palazzo della Signoria, accanto ai cadaveri già penzolanti del Salviati e di suo fratello.

Non fu che l’inizio di una terribile mattanza in cui tutti i sospettati di essere coinvolti nella congiura furono ammazzati, le loro teste mozzate infilate su picche e portate in processione per le vie cittadine.

Il risultato antitetico alle attese degli assassini fu la definitiva consacrazione di Lorenzo de’ Medici, ormai senza più rivali, a “re senza corona” di quella che, sebbene fosse teoricamente ancora una Repubblica, s’era di fatto trasformata nella sua monarchia personale.

 

Accompagna questo scritto il “Ritratto di Giuliano de’ Medici” di Sandro Botticelli, circa 1478, National Gallery of Art Washington.