Questo articolo è dedicato a mio padre che negli anni ’60 del novecento, aveva la costanza di portarmi a visitare i musei di Firenze. La sua ammirazione per i Macchiaioli mi è rimasta impressa e adesso li sento nel sangue toscano.
Non tutti erano pittori toscani, ma tutti sono stati contaminati dal fascino intellettuale e liberale della Firenze del secondo ‘800, dalla campagna e dal litorale toscano, dove hanno realizzato alcuni fra i più bei dipinti sulla mia regione, con la semplicità e l’intensità che solo chi ha l’arte e il paesaggio toscano nel cuore può realizzare.
I MACCHIAIOLI
L’arte pittorica nella storia è stata spesso dominata dai canoni correnti e i movimenti innovativi hanno sempre destato scalpore o contrasto a tal punto da relegarli ai margini o annullarli.
Ogni rivoluzione nell’arte pittorica, dalla scoperta della prospettiva di Paolo Uccello, ai primi dipinti senza immagini sacre ma che raffiguravano i principi e monarchi, alle correnti che hanno introdotto immagini di vita quotidiana della gente comune, oppure le tecniche innovative del divisionismo o del cubismo, hanno cambiato i canoni fino a quei momenti in uso introducendo novità che hanno più volte rivoluzionate la pittura.
I Macchiaioli sono stati una corrente artistica italiana, o dovremmo dire toscana, alla quale hanno aderito anche pittori di altre regioni italiane, nata fra il 1848 e il 1850.
I Macchiaioli nascono quindi una decina di anni prima degli impressionisti e, pur non conoscendosi reciprocamente, almeno all’inizio, hanno percorso non solo una strada artistica simile, ma sono partiti dagli stessi presupposti, ovvero dall’insofferenza verso i canoni artistici dell’epoca per proporre una tecnica pittorica e soggetti completamente diversi rispetto alla moda artistica dominante fino alla metà dell’800.
In realtà, come vedremo più avanti, un contatto fra un rappresentante dei futuri impressionisti e i Macchiaioli c’era stato nel 1858, quindi alcuni anni prima della data che viene considerata quella di inizio del movimento degli impressionisti: ovvero il 1860.
I Macchiaioli sono stati quindi i precursori della pittura moderna che, insieme al movimento impressionista, hanno aperto la strada al divisionismo, al cubismo e alle altre forme di pittura moderna che si sono mosse controcorrente rispetto alle scuole pittoriche classiche.
L’importanza dei Macchiaioli risiede nel fatto che sono stati i primi a sentire l’esigenza di un rinnovamento nella pittura come contemporaneamente sentivano la necessità di un cambiamento nella storia d’Italia, in una rivoluzione culturale e politica che portasse ad una nuova dignità del paese fino allora diviso dalla storia.
Non a caso le prime idee di questa corrente artistica si muovono alla vigilia della prima guerra di indipendenza del 1848, che segnava il risveglio politico dell’Italia.
Anna Franchi[1] scrive: “Questo gruppo di giovanotti, a cui urgeva nel sangue la ribellione, e che avevano bisogno di rivoltarsi a tutte le regole, politiche e artistiche, a tutte le consuetudini, provarono anche un altro bisogno, cioè quello di stare uniti per comunicarsi i propri giudizi, le proprie opinioni; il bisogno della discussione.” (Arte e artisti toscani dal 1850 ad oggi. Fratelli Alinari, Firenze 1902)
In questo suo primo libro sui Macchiaioli, e nella successiva biografia di Giovanni Fattori (Alinari, 1910) e sui Macchiaioli toscani (Garzanti, 1945) racconta per prima la genesi, la filosofia e l’amore per l’arte dei Macchiaioli.
Ma in quegli anni c’è un altro personaggio di fondamentale importanza per il movimento dei macchiaioli: Diego Martelli[2].
Martelli (Firenze 1839-1896), è stato il padre putativo, il “mecenate”, il riferimento culturale dei pittori che hanno costituito il movimento macchiaiolo.
Fu uno dei primi sostenitori del realismo francese[3], ebbe contatti con gli impressionisti, ma si circondò dei Macchiaioli, ospitandoli nella sua casa di Castiglioncello (Livorno) e spesso aiutandoli economicamente.
Presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze è conservato un carteggio di circa 4.800 lettere, oltre a volumi e manoscritti, che contengono scambi epistolari fra Martelli e i Macchiaioli. Programmi di viaggi a Castiglioncello, giudizi su opere pittoriche, richieste di aiuto economico.
Epistolario di Diego Martelli . Firenze, Biblioteca Marucelliana
“Che l’arte è cosa bella tutti approvano, ma in che consista nessuno spiega… L’esatta riproduzione del vero, per mezzo di linea e chiaroscuro non basta, inquantoché se tanto fosse sufficiente, la fotografia avrebbe ucciso la pittura, né l’architettura avrebbe mai avuto ragione di esistere.”
Con queste parole Diego Martelli esprime il suo pensiero sull’arte.[4]
Vicino a Martelli, per cultura e scelte, è stato un altro brillante intellettuale e scienziato Gustavo Uzielli[5]. Furono uniti dalla conoscenza del Positivismo francese e tedesco, dei romanzi di Émile Zola e della filosofia di Pierre-Joseph Proudhon. Questo spiega anche il comune interesse per questi artisti e l’acquisto dei loro dipinti.
Ricollegandosi alla visione e all’impegno di Martelli e Uzielli il giovane letterato e critico Ugo Ojetti[6] ha dato inizio, alle soglie del Novecento, alla rivalutazione sia collezionistica che storiografica dei Macchiaioli cresciuta nel corso del secolo.
Ma colei che ha raccontato per prima la storia dei Macchiaioli è stata Anna Franchi L’interesse per l’arte figurativa, specie per la pittura sempre coltivata da dilettante, aveva presto
trovato sfogo nello studio storico dell’arte italiana, nutrito dalla frequentazione delle Gallerie fiorentine, e nell’interesse per l’arte contemporanea di matrice toscana.
Qui Anna Franchi conosce Giovanni Fattori, Telemaco Signorini e Silvestro Lega e saranno proprio loro a chiedergli di scrivere la storia del loro movimento artistico.
Anna mantenne la promessa e nel 1902, per i tipi dei Fratelli Alinari, pubblicò “Arte e artisti toscani dal 1850 ad oggi”, un libro di 200 pagine che è la sintesi della storia e della filosofia dei Macchiaioli, dedicando a ciascuno di loro delle brevi monografie.
“Alla memoria di Telemaco Signorini dedico questo mio lavoro; chè Egli fu il primo ad incoraggiarmi.
Nel gennaio del 190, allorchè, leggendo un mio studio sulle opere del Segantini, mi disse: – si mantenga sempre serena come oggi, – sentii il coraggio di proseguire nel difficile compito di dire al pubblico la mia impressione sulle opere d’arte; nell’autunno del 1900, all’Esposizione di Milano, sorridendo all’idea di questo mio lavoro, mi promise aiuto di ricordi.
Mancò prima che io principiassi; ma la sua memoria e la sua parola d’incoraggiamento, mi hanno sorretta guidandomi.
Ebbi sempre davanti a me la visione del grande amore che Egli nutriva per la verità, ed ho tentato di mantenermi a questa fedele, cercando di non dimenticare, chi all’arte pura e sincera fu sempre ossequente.
Al fratello, Paolo Signorini, che mi permise di rivivere tra le opere di lui e di ricercarvi parte della sua anima, porgo un ringraziamento.”
Anna ci racconta che “… questo nucleo di riformatori scelse come punto di ritrovo una stanza di un caffè, posto in Via larga – poi Via Cavour – oggi chiuso, da pochi giorni soltanto – e lo battezzarono col nome di caffè Michelangelo.” (Anna Franchi, libro citato)
Il Caffè Michelangelo era dunque vicino all’Accademia di Belle Arti a Firenze e qui gli artisti che appartennero a questo movimento parlavano di arte e di politica e, alcuni di loro, avevano anche preso parte ai moti rivoluzionari del 1848.
Questi giovani idealisti, insoddisfatti dall’arte delle accademie, condividevano il desiderio di rinvigorire l’arte italiana emulando l’audace struttura tonale che ammiravano in vecchi maestri come Rembrandt, Caravaggio e Tintoretto.
Il Caffè Michelangelo fu frequentato dai Macchiaioli fra il 1848 e il 1861, quando il locale chiuse. Successivamente gli artisti e i letterati si ritrovavano al caffè Le Giubbe Rosse (ancora esistente) in Piazza della Repubblica.
Fra i frequentatori del Caffè Michelangelo, nel 1858, c’è anche Edgar Degas[7], futuro membro della corrente francese impressionista.
Quando Edgar Degas giunse a Firenze, soggiornò ospite degli zii Laura e Gennaro Bellelli che abitavano, con le loro due figlie, in un appartamento in piazza Maria Antonia, l’odierna piazza dell’Indipendenza.
A Firenze Degas cercò di attingere insegnamento e ispirazione dai capolavori dell’arte classica italiana, tanto che visitò assiduamente gli Uffizi, ma non poté esimersi dall’entrare in contatto con quel movimento che aveva stravolto i canoni classici dell’arte di quei tempi che si ritrovava assiduamente al Caffè Michelangiolo, dove Degas era solito frequentare questo locale insieme all’amico Moreau.
A testimoniarcelo è Diego Martelli, il quale ci racconta che “quando per ragioni di famiglia, ed attratto dal desiderio, venne in Toscana, si trovò proprio nel suo centro, fra i suoi antenati artistici Masaccio, Botticelli, Bozzoli e il Ghirlandaio. Il suo culto diventò furore ed una massa di disegni attesta lo studio coscienzioso fatto da lui, per appropriarsi tutte le bellezze e gli insegnamenti dell’arte da loro posseduta”.
La filosofia dei Macchiaioli fu quindi quella di abbandonare i soggetti classici, quelli storico-mitologici, i personaggi illustri, i Principi per dedicarsi alle emozioni dei paesaggi romantici, solitari spesso popolati da gente comune mettendo in mostra la vita quotidiana.
Questo probabilmente influì anche su Degas e la sua pittura che portò in Francia dove il movimento impressionista di lì a qualche anno avrebbe mosso i primi passi.
Non si può certo affermare che i Macchiaioli siano gli ispiratori dell’impressionismo, anche perché i pittori d’oltralpe hanno vissuto una loro naturale evoluzione in parallelo, ma soprattutto non si può comprare i Macchiaioli agli Impressionisti. Dobbiamo però ricordare questo particolare non secondario che il nostro movimento pittorico, forse grazie ai sommovimenti politico-culturali che in quegli anni percorrevano la nascente Italia, arrivarono prima dei francesi ai quei cambiamenti che sono stati un ponte fra il classicismo e la pittura realista, con la pittura moderna e contemporanea.
Tornando ai pittori di casa nostra, tre anni dopo il “passaggio” di Degas, nel 1861, furono esposti per la prima volta i dipinti dei Macchiaioli all’Esposizione Nazionale[8] di Firenze.
Ma “… allorché il lavoro si faceva serio per il rinascere delle Esposizioni (vi era infatti stata una prima edizione nel 1805 a Torino – ndr), i ribelli giovanotti congiurarono ancora nella stanzuccia affumicata (del Caffè Michelangelo – ndr), per protestare di nuovo energicamente contro le fredde regole accademiche, dichiarando incompetente il giurì che aveva aggiudicato le onorificenze all’Esposizione italiana di Firenze del 1861, rifiutandone le medaglie.
Questi artisti erano. Giuseppe Abbati, Saverio Altamura, D’Ancona Vito, Luigi Bechi, Celentano Bernardo, Gordigiani Michele, Girolamo Induno, Domenico Morelli, Eleuterio Pagliano, Scrosati Luigi, Stefano Ussi, Valentini Gottardo, Vertunni Achille.” (Da Anna Franchi, opera citata)
Tutti gli articoli e i libri che parlano dai Macchiaioli, compresi quelli di autorevoli professori di storia dell’arte, affermano che fu un articolo non firmato (taluni dicono firmato da un certo Luigi) del 3 novembre 1862, pubblicato dalla Gazzetta del Popolo di Torino, a definire i quadri di questo gruppo di pittori “scavezzacolli” che dipingono a “macchia”.
Purtroppo sulla Gazzetta del Popolo del 3 dicembre 1862 non c’è nessun articolo che parla dei Macchiaioli.
Avendo recuperato le copie digitali di quasi tutti i semestri della Gazzetta del Popolo fra il 1848 e il 1864, per scrupolo ho controllato anche le date precedenti e successive fino al 3 dicembre, ma non c’è niente.
È possibile che faccia riferimento al 1861, ovvero quando a Firenze si tenne la Prima Esposizione Italiana, inaugurata il 15 settembre alla stazione Leopolda, ma purtroppo il secondo semestre di quell’anno non è disponibile e quindi non abbiamo conferma della veridicità delle affermazioni riportate da numerosi siti internet (quasi in fotocopia), in merito alle origini del nome di “Macchiaioli” a seguito di questo fantomatico articolo della Gazzetta del Popolo.
Telemaco Signorini[9], al ritorno dalla prima esposizione internazionale di Parigi del 1855, in un opuscolo commemorativo su Silvestro Lega[10], scrive: “l’Altamura[11] e il Tivoli[12] portarono fra noi le nuove idee d’arte, che poi generarono la macchia del chiaroscuro, arme d’opposizione all’insegnamento accademico; il Lega fu avverso a questa rivoluzione artistica perché ci veniva dalla Francia, da quella nazione che era stata dolente di non aver potuto combattere nel 1849, in Roma, a difesa della Repubblica.
Ma quando, poi, coll’arte del Courbet prevalse nelle arti dei popoli di razza latina la ricerca del realismo, il Lega infierì ancor più, supponendo che dalla Francia ci venisse imposto, col realismo, un qualche re da servire.
Ma poi, visto come questo realismo non fosse altro che lo studio più sincero della realtà, del carattere, della forma, in rapporto all’ambiente luminoso dell’aria aperta, e in opposizione a qualunque concetto e preconcetto accademico, e come fosse, chi lo propugnava in Francia, il più rivoluzionario di tutti gli artisti, un allievo della natura, allora, come aveva lasciato la scuola del Mussini, lasciò quella di Antonio Ciseri della quale faceva parte ed era stato il più strenuo difensore.”[13]
Quindi, Telemaco Signorini descrive lo spirito istintivo e ribelle di Silvestro Lega, che si schiera pro o contro qualcuno per ideologia artistica o politica, ma pronto a ricredersi non appena scopre che la sua filosofia artistico-politica è affine a chi contesta.
Di fatto però la distanza fra i discepoli della “Macchia” e il realismo francese è grande. Molti dipinti del realismo hanno una tecnica pittorica classica, di dettaglio, che esprime “realisticamente” i chiaro-scuri dell’ambiente naturale. Nei Macchiaioli prevale invece la “Macchia” del chiaro scuro e la pennellata decisa, più incisiva e meno dettagliata.
Possiamo dire di trovare nei Macchiaioli una tecnica pittorica con punti in comune con gli Impressionisti e un abbozzo precursore dell’accostamento dei colori del successivo divisionismo[14].
Per i Macchiaioli infatti il colore ha la priorità sul disegno e viene steso a macchia con brevi pennellate. I contorni sono perciò sfumati, luci e ombre scolpiscono i volumi, e le figure sono rese con decisi contrasti tonali. In questo modo si cerca di riprodurre la realtà così come appare a un rapido colpo d’occhio, basandosi sui forti contrasti di ombra e di luce ottenuti con il disegno e il chiaroscuro, ma anche con l’accostamento di toni diversi di colore propugnando un antiaccademico rifiuto della forma a favore di una pittura che riproducesse “l’impressione dal vero” (Giovanni Fattori[15]).
La pittura dei Macchiaioli era quindi una composizione di macchie di colori grazie alle quali era possibile creare figure senza la necessità di definire linee, punti geometrici, contorni definiti che raramente si trovano in natura. Secondo i Macchiaioli le forme non erano generate dai contorni, ma dall’impatto della luce sugli oggetti che crea le immagini che i nostri occhi vedono.
Una filosofia decisamente rivoluzionaria per l’epoca che andava contro tutte gli insegnamenti didattici delle Accademie d’arte e contro la tecnica pittorica prevalente.
I Macchiaioli quindi rompono con il romanticismo e il classicismo, dominanti ancora nell’800, e diventano una vera e propria corrente pittorica sancendo, oltre che nei dipinti, anche in numerosi scritti, nelle stesse discussioni al caffè Michelangelo, e con il sostegno di critici come Martelli, Ojetti, Uzielli e Anna Franchi, la loro filosofia e la loro tecnica artistica.
I Macchiaioli quindi, “…sciolti del tutto dal freno delle concezioni mitologiche, o storiche, avevano percorso le vie arieggiate e non si sentivano più perplessi davanti allo sfolgorio dei raggi; sapevano rendere quella verità con efficace evidenza, con una certa franchezza di linea che s’imponeva, e il pubblico già si soffermava a guardarli.
I sacrifici. Le lotte, la miseria sopportata, già davano una promessa; già il fiore prometteva un frutto. Avanti, avanti dunque con energia: ecco anche in Toscana con i paesisti, la estrinsecazione più bella di una tendenza di completa libertà di concetti.” (Da Anna Franchi, opera citata)
Ma ai Macchiaioli mancavano le risorse per poter esprimere appieno la loro creatività, “il mezzo più efficace per la lotta: il denaro”. Cercarono allora di farsi conoscere attraverso delle esposizioni di quadri, chiedendo al Ministero di finanziare una mostra nei primi anni ’60 dell’800.
Riuscirono così a realizzare una prima esposizione dedicata solo alle loro opere d’arte, alla quale accorse molto pubblico, ma un pubblico che non volle sapere di comprare le “macchie”. “Del resto bisogna convenire che questo pubblico aveva ancora davanti agli occhi i quadri pieni di figure, le vesti delle quali non facevano una grinza; bisogna compatirlo … pensando che ancora oggi (nel 1902 ndr), vi è sempre chi pensa, come le vedutine si possono godere anche dalla finestra, e che non vi è bisogno di riprodurle su tela.” (Da Anna Franchi, opera citata)
Una nuova esposizione fu organizzata nel 1865, in occasione del sesto centenario della nascita di Dante. Durante questo evento l’incasso fu più grande ma il giurì diede un giudizio negativo e i quadri vennero venduti agli amici, mentre i migliori andarono invenduti.
“Lo sconforto invase gli artisti che udirono le autorità della giuria dire con la maggior buona fede: -questo quadro non mi piace perché non lo capisco” (Da Anna Franchi, opera citata)
Teorico del movimento fu Adriano Cecioni, il quale nei suoi scritti ha affermato che “i macchiaioli erano avversari dichiarati del religioso rispetto per i capolavori rappresentanti il convenzionalismo estetico o il culto della forma per la forma”. La tecnica pittorica dei macchiaioli era quella di rendere le impressioni del vero visto a distanza, per mezzo di toni di colore, le cosiddette “macchie di colore”.
La macchia era la sintesi del disegno e del colore, mentre il tono dava il senso alle distanze e l’idea dello spazio.
Se volessimo paragonarli agli impressionisti, quest’ultimi ricercavano la “luce nel colore”, mentre i Macchiaioli cercavano la “forma nel colore”.
Analogamente ai Macchiaioli, anche gli Impressionisti uscivano dai loro studi e dipingevano all’aperto tutto quello che vedevano e come lo sentivano, ossia trasfigurato dalla loro particolare sensibilità.
Da qui l’appellativo attribuito ai cultori di questa corrente artistica.
a cura di: Claudio Del Lungo
I PRIMI MACCHIAIOLI
GIOVANNI FATTORI (vedi articolo)
SILVESTRO LEGA (vedi articolo)
TELEMACO SIGNORINI
RAFFAELLO SERNESI
GIUSEPPE ABBATI
SERAFINO DE TIVOLI
ODOARDO BORRANI
CRISTIANO BANTI
ADRIANO CECIONI
VINCENZO CABIANCA
GIOVANNI COSTA
I “SECONDI” MACCHIAIOLI e I POST MACCHIAIOLI
EGISTO FERRONI
ALFONSO TESTI
NICCOLÒ CANNICCI
ARTURO FALDI
RAFFAELLO SORBI
FRANCESCO GIOLI
LUIGI GIOLI
EUGENIO CECCONI
FILADELFO SIMI
ANGIOLO TURCHI
RUGGERO PANERAI
ADOLFO TOMMASI
ANGIOLO TOMMASI
LODOVICO TOMMASI
RUGGERO FOCARDI
PLINIO NOMELLINI
GIORGIO KIENERK
FRANCESCO FANELLI
CESARE CIANI
RAFFAELLO GAMBOGI
STEFANO BRUZZI (Wikipedia)
FERDINANDO BUONAMICI (Wikipedia)
NOTE
[1] Anna Franchi: scrittrice e giornalista solo marginalmente critica d’arte, nasce a Livorno il 15 gennaio 1867.
Con la passione per il pianoforte e le arti, fu contrastata dalla famiglia che era ostile al palcoscenico per l’imbarazzo di vedere esibirsi la figlia. Il padre preferiva così, nonostante un atteggiamento liberale di tradizione mazziniana, che la figlia continuasse piuttosto a coltivare le lettere, gli studi classici e ad amare gli eroi risorgimentali e ad esaltarsi con le poesie di Carducci.
A soli 16 anni viene fatta sposare con Ettore Martini, compositore e violista, che avrebbe potuto appagare quella sua propensione alla musica.
Con il marito si sposta prima ad Arezzo e poi a Firenze verso la fine degli anni ottanta.
Il matrimonio, dal quale nascevano Cesare, Gino, Folco, morto in tenera età, e Ivo doveva però lacerarsi presto, risolvendo Anna Franchi a separarsi dal marito, lasciato partire solo per Philadelphia, e, necessariamente, a cercare il lavoro. Inizia così a scrivere libri per bambini
L’amicizia di Ettore Martini con la famiglia Tommasi l’aveva messa in contatto sin dai primi giorni di matrimonio con i pittori sopravvissuti del rarefatto gruppo macchiaiolo: Silvestro Lega, Telemaco Signorini e Giovanni Fattori.
Un incontro che, trasformatosi in duratura amicizia, avrebbe impresso la sua futura attività di critica d’arte e di storica dei Macchiaioli.
Proprio da questa stretta amicizia e amore per le opere e il pensiero dei macchiaioli, viene spinta da Telemaco Signorini a scrivere “Arte e artisti toscani dal 1850 ad oggi”, unico libro contemporaneo sulle origini, la filosofia e la storia del movimento macchiaiolo.
Dal 1900 Anna Franchi poteva vantare anche l’iscrizione all’Associazione Lombarda dei Giornalisti, seconda soltanto ad Anna Kuliscioff.
In quegli anni vive a Milano dove ha una prolifica produzione di libri e di articoli su riviste femminili, sul “Corriere dei Piccoli”, “La Nazione”, “Il Secolo XX”, “Nuovo Giornale di Firenze”, “Il Lavoro” di Genova, “La Gazzetta del Popolo” e, seppur sporadici, anche articoli di critica artistica per “Natura ed Arte”, la “Nuova Antologia” ed “Emporium”.
Muore a Milano nel 1954.
[2] Diego Martelli (Firenze, 29 ottobre 1839 – Firenze, 20 novembre 1896) è stato un critico d’arte italiano. sostenne e unì i Macchiaioli ospitandoli nella sua tenuta di Castiglioncello. Fino al 1865 abitò saltuariamente presso una villa di Capannoli (PI), avuta in eredità, insieme alla fattoria, dallo zio Andrea Bernardi, patrizio pisano. La fattoria e la villa furono vendute a Rutilio Orlandini in seguito ad un dissesto finanziario, con grande dispiacere della madre.
Nel 1861 aveva ereditato un ampio terreno presso Castiglioncello su di una collina che si affaccia su di una scogliera, e qui decise di abitare insieme all’amico Giuseppe Abbati.
Cominciò ad invitare diversi amici frequentatori del Caffè Michelangiolo di Firenze, dove i Macchiaioli erano soliti riunirsi. Diego iniziò così a divenire il riferimento culturale del movimento, con il suo sostegno ed i suoi consigli teorici, tanto da fondare attorno alla sua personalità la cosiddetta Scuola di Castiglioncello. All’epoca Castiglioncello era un minuscolo borgo di pescatori e contadini, come testimoniato nei numerosi quadri del movimento.
Con Adriano Cecioni e Telemaco Signorini fondò nel 1867 il “Gazzettino delle arti del disegno” e nel 1873 il “Giornale artistico”, periodici di diffusione artistica di idee.
Sul finire del secolo la sua tenuta di Castiglioncello passò al barone Patrone, che demolì le strutture preesistenti per costruirvi la propria dimora, oggi nota col nome di Castello Pasquini.
Martelli farà diversi viaggi a Parigi dove entrerà in contatto con l’ambiente culturale della città, e in special modo con quello degli impressionisti di cui diverrà un sostenitore. Nel 1879 visitò l’esposizione degli impressionisti, e a Giovanni Fattori riferì: «Fra i nostri espositori di qui i più in punta sono Monet, Caillebotte e Pissarro.»
[3] Il realismo è una corrente artistica sviluppatasi negli anni quaranta del XIX secolo e che, in Francia, vede in Gustave Courbet il suo principale esponente; sono inoltre importanti le figure di Honoré Daumier e Jean-François Millet, oltre che di Rosa Bonheur. In Italia il più famoso è forse Giuseppe Pellizza da Volpedo che nel 1901 realizzerà il dipinto “Il quarto stato” (Milano, Museo del Novecento) anticipato da “La fiumana” (op. incompleta esposta alla Pinacoteca di Brera). (da Wikipedia)
[4] “D’ogni erba un fascio. Pensieri sull’arte”. Dicembre 1872. BIBLIOTECA MARUCELLIANA, MANOSCRITTO D XIV III 39
[5] Gustavo Uzielli (Livorno, 29 maggio 1839 – Impruneta, 7 marzo 1911) è stato uno scienziato, storico, docente e volontario garibaldino italiano.
[6] Ugo Ojetti (Roma, 15 luglio 1871 – Fiesole, 1° gennaio 1946) è stato uno scrittore, critico d’arte, giornalista e aforista italiano.
[7] Hilaire German Edgar Degas (Parigi, 19 luglio 1834 – Parigi, 27 settembre 1917) è stato un pittore e scultore francese. Inizialmente più affascinato dai temi e le tecniche classici e del realismo, l’esperienza italiana lo spinse verso una maggiore freschezza dei disegni, avvicinandolo all’impressionismo.
[8] La prima Esposizione Nazionale, voluta da Quintino Sella, che si tenne a Firenze, alla Stazione Leopolda su progetto dall’architetto Giuseppe Martelli. Venne inaugurata dal re Vittorio Emanuele II il 15 settembre 1861 e rimase aperta fino all’8 dicembre. Era suddivisa in 24 classi e con cinque chilometri di percorso, e vi parteciparono 8.533 espositori nei più disparati campi delle arti, delle scienze, dell’agricoltura e delle industrie italiane.
[9] Telemaco Signorini (Firenze, 18 agosto 1835 – Firenze, 10 febbraio 1901) è stato un pittore e incisore italiano, figlio di Giovanni Signorini, stimato pittore al servizio del Granduca di Toscana.
[10] Silvestro Lega (Modigliana -provincia di Firenze fino al 1923, poi provincia di Forlì – 8 dicembre 1826 – Firenze, 21 settembre 1895) è stato un pittore italiano. È considerato, insieme a Giovanni Fattori e a Telemaco Signorini, fra i maggiori esponenti del movimento dei Macchiaioli.
[11] Francesco Saverio Altamura (Foggia, 5 agosto 1822 – Napoli, 5 gennaio 1897) è stato un pittore, scrittore e patriota italiano. Si trasferisce a Firenze nel 1850 frequentando il caffè Michelangelo. Durante il sodalizio con i Macchiaioli dipinse alcuni studi di paesaggio. Nel 1860 ritornò a Napoli, combattendo con le armate garibaldine. Proseguì anche in seguito l’attività politica: fu consigliere comunale a Napoli e a Firenze e rivestì cariche di governo con Bettino Ricasoli. (da Wikipedia)
[12] Serafino De Tivoli (Livorno, 22 febbraio 1825 – Firenze, 1° novembre 1892) è stato un pittore che aderisce alla scuola del realismo, allievo di Károly Markó il Vecchio che lo educa all’arte secondo i principi neoclassici. Nel 1848 si arruola volontario con Giuseppe Garibaldi e partecipa alla Prima guerra d’indipendenza italiana, combattendo nella Battaglia di Curtatone e Montanara unitamente ad altri artisti pervasi da patriottismo quali Silvestro Lega. Frequenta i Macchiaioli fra il 1855 e il 1862, ma apre una accesa diatriba con Telemaco Signorini che lo accusa di essere eccessivamente legato ai propri interessi economici al seguito della quale abbandona il caffè dei Macchiaioli e Firenze trasferendosi a Londra e poi a Parigi, dove frequenta gli artisti del Café Guerbois che da lì a poco fondano il movimento degli Impressionisti, in particolare Edgar Degas, alla pari dei colleghi Federico Zandomeneghi, Giovanni Boldini e Giuseppe De Nittis. Ritorna a Firenze dove viene nominato professore della Reale Accademia di Belle Arti.
[13] Da Silvestro Lega di Mario Tinti. Istituto Nazionale L.U.C.E. – Bergamo 1931
[14] Il divisionismo è un fenomeno artistico Italiano, nato alla fine dell’800, tecnicamente derivato dal “pointillisme” (Puntinismo francese) che derivava dall’impressionismo. La pittura divisionista era caratterizzata dalla separazione dei colori in singoli punti o linee che interagiscono fra di loro in senso ottico; per tali motivi può essere definito come una variante specifica del puntinismo. Il divisionismo non può essere definito un movimento pittorico perché gli artisti che usarono questa tecnica pittorica non scrissero mai un manifesto artistico. Secondo alcuni studiosi trovò il suo esponente principale in Pellizza da Volpedo, secondo altri in Giovanni Segantini. I princìpi che ne codificarono le direttive furono delineati da Gaetano Previati, che ne sviluppò le linee influendo sia sul territorio ligure che su quello lombardo
[15] Giovanni Fattori (Livorno, 6 settembre 1825 – Firenze, 30 agosto 1908) è stato un pittore e incisore italiano. È considerato tra i maggiori pittori italiani dell’Ottocento e tra i principali esponenti del movimento dei Macchiaioli.
BIBLIOGRAFIA
- DIEGO MARTELLI e I MACCHIAIOLI – prefazione di Mario Dini – Biblioteca Marucelliana di Firenze 1976
- ARTE E ARTISTI TOSCANI DAL 1850 AD OGGI, Anna Franchi – Fratelli Alinari Editori, Firenze 1902
- I DISEGNI DELLA COLLEZIONE DIEGO MARTELLI – Artificio Edizioni, Firenze 1997
- SILVESTRO LEGA, Mario Tinti – Istituto Nazionale L.U.C.E., Roma 1931
- I MACCHIAIOLI, Raffaele De Grada – Fratelli Fabbri Editori, Milano 1967
- L’OTTOCENTO: Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno – Pacini Editore Livorno, 1999
- STORIA DELL’ARTE ITALIANA, Vol. II – G. Edoardo Mottini – Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1935
- LE MUTAZIONI DELLA “MACCHIA” – Raffaele Monti – Ed. Cassa di Risparmio di Firenze, 1985
- DAI MACCHIAIOLI AGLI IMPRESSIONISTI, l’opera critica di Diego Martelli – Artificio Edizioni, Firenze 1996
- GLI ALINARI FOTOGRAFI A FIRENZE 1852-1920 – Fratelli Alinari Editrice, Firenze 1985
- I MACCHIAIOLI – a cura di Simona Bartolena – Skira Editore, Milano 2018
- FIRENZE CAPITALE (1865-1870), dagli appunti di un ex cronista, Ugo Pesci – Ed. Bemporad & Figlio, Firenze 1904
- 1001 DIPINTI DA VEDERE PRIMA DI MORIRE, Stephen Farthing – Ed. Atlante, Bologna 2007
- IL SECOLO LUNGO DELLA MODERNITÀ, L’Ottocento così non si era mai visto – Philippe Daverio – Rizzoli Editore Milano 2013
- LA RAFFIGURAZIONE DELLA STORIA NELLA PITTURA ITALIANA – a cura di Pierluigi De Vecchi e Graziano Alfredo Vergani – Unicredit Banca d’Impresa, 2004
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